Formazione e sviluppo organizzativo, motori di crescita in tempi difficili

Cito, dall'articolo "Le 100 migliori aziende dove lavorare in Italia: la classifica delle Best Employers 2026" di Fabio Sottocornola, pubblicato sul Corriere della Sera di martedì 7 ottobre 2025:
Com'è oggi il clima aziendale? Lo riassume in tre parole Joelle Gallesi, managing director di Hunters Group, società di ricerca a selezione di personale qualificato:
«Disingaggio, progetto e formazione. Le aziende per "ingaggiare" soprattutto i giovani devono garantire una evoluzione continua, anche a livelli medio alti, su competenze e abilità analitiche. Non re-skilling ma un autentico up-skilling che consenta un salto di qualità. Non basta più offrire uffici moderni magari con dotazioni simpatiche tipo calcio balilla. Ci vogliono progetti condivisi, step di crescita».
Chi si occupa di risorse umane, spiega l'esperta, sta vicino al CEO: perdere talenti mette a rischio il business.
«È difficile trovare chi resta vent'anni nello stesso ruolo. Dobbiamo fare i conti con una generazione in disingaggio dal lavoro, più attenta alla famiglia o a questioni personali».
Secondo Alessandro Rosati, CEO di agap2, multinazionale di consulenza per ingegneria e tech, «siamo dentro una duplice tendenza: mentre cresce una domanda di flessibilità, autonomia e fiducia dai lavoratori, ci sono aziende che esercitano tensione sui controlli e burocrazia. I candidati delle giovani generazioni vogliono meno sprechi nei processi produttivi, per poter offrire un contributo a valore aggiunto».
Ma le aziende non sono sempre pronte a raccogliere le nuove istanze.
«Chi vuole un posto cerca anche chiarezza sugli obiettivi, desidera partecipare a un progetto allineato ai valori personali e ha bisogno di momenti di ascolto».
L'articolo offre diversi spunti: le persone chiedono crescita professionale e crescente coinvolgimento. È esattamente quello che chiunque ha sempre legittimamente desiderato, ma mentre prima si trattava di inconfessabili fantasie, da qualche anno c'è chi dà voce concretamente a tale aspirazione. E se la risposta delle aziende non è adeguata, i collaboratori hanno molte meno remore ad andarsene per cercare altrove ciò che li può soddisfare.
Quindi sono almeno due i fronti che le aziende devono gestire se non vogliono trovarsi continuamente in emergenza turn-over: lo sviluppo professionale dei collaboratori, che può essere garantito con un progetto di formazione continua e strutturata; e lo sviluppo organizzativo, con un progetto di adeguamento della governance volto a creare una maggiore trasparenza, responsabilizzazione e fiducia a tutti i livelli.
L'articolo conferma ciò che da anni tutti percepiamo chiaramente: per chi lavora - a qualsiasi livello - non conta più solo il compenso economico, ma sempre di più il fatto di percepirsi in un percorso di continua crescita, e di essere partecipi delle scelte della propria azienda. È solo così che si possono soddisfare tutti i propri bisogni – non solo quelli della sicurezza economica, ma anche il riconoscimento sociale e l'acquisizione di competenze distintive e facilitanti.
Questa consapevolezza rappresenta un bivio per le aziende: subire il cambiamento, gestendo passivamente l'emergenza del turn-over, oppure scegliere di guidarlo? Investire in modo strutturato sullo sviluppo delle persone e sull'evoluzione organizzativa diventa quindi la chiave non solo per gestire un problema, ma ancor più per trasformare queste nuove aspirazioni in un motore di crescita, condivisa e sostenibile.
